Nel fine settimana, bloccata in casa dalla pioggia (eravamo in Liguria, proprio il fine settimana giusto per beccare in pieno l'alluvione, ma questa è un'altra storia...) ho scovato e letto un libro dei primi anni '70 sulla gravidanza: Avere un figlio - Nove mesi di vita della coppia di Jaqueline Dana e Sylvie Marion (ne ho parlato anche nella pagina dei libri)
Il libro è dei primi anni settanta e non si legge di certo per avere informazioni aggiornate sulle ultime tendenze in fatto di gravidanza e parto, ma per un interesse storico e una curiosità riguardo a come la generazione di mia madre ha vissuto questo momento della propria vita. Leggendolo con gli occhi di oggi, ho trovato alcuni aspetti che reputo positivi, ad esempio un primo embrionale coinvolgimento del padre nella gravidanza e nel parto, o l'attenzione alla donna non solo come futura mamma ma anche come portatrice di propri interessi da continuare a seguire (sport, lavoro, viaggi, hobby etc)
Contemporaneamente però ho letto in questo libro l'inizio di un processo di cui oggi vedo le estreme conseguenze: la medicalizzazione del parto, la promozione dell'allattamento con il biberon, l'accento posto sull'importanza della coppia a scapito del neonato (che, ad esempio, deve dormire fin da subito in un'altra stanza per garantire la privacy dei genitori)
Il primo impatto è stato di rifiuto rispetto a quanto stavo leggendo. Ad esempio ho giudicato in modo negativo le prescrizioni sulla dieta rigidissima da seguire in gravidanza (che sembra più una dieta dimagrante, senza sale né spazio per nessun tipo di concessione...) per non ingrassare più di 8, al massimo 10 kg. Ma andando avanti nella lettura, mi si è accesa una lampadina.
Ho capito che il libro è stato scritto in un periodo di transizione, da un lato posso contestare la piega che hanno preso successivamente gli eventi, ma dall'altro mi ha fatto riflettere che, se non ci fossero stati questi estremi opposti, forse oggi non sarei abbastanza consapevole delle mie future scelte quali ad esempio l'allattamento al seno.
Oggi contesto l'eccessiva medicalizzazione del parto, le troppe ecografie imposte dai ginecologi privati, il fatto che troppo spesso si ricorre al cesareo anche quando non ce ne sarebbe bisogno. E nel libro si consiglia a spada tratta di andare a partorire in ospedale, di effettuare una radiografia intorno all'ottavo mese, di fidarsi ciecamente del medico e delle ostetriche... Sono la prima a dire che sì all'ospedale, ma no ad interventi medici non necessari, che non c'è nulla di male (anzi!) nel parto in casa, che le radiografie fanno rabbrividire solo all'idea e che cambierò la mia ginecologa perché non mi fido... però pensiamoci, cosa c'era "prima"? Oggi non mi preoccupo di morire di parto perché è più probabile finire all'obitorio per una tegola in testa, ma qual era invece la situazione quando non era possibile monitorare eventuali problemi (placenta previa, posizione podalica, diabete gestazionale...)? Sempre mio padre mi ha raccontato che, 16 anni prima di me, alla nascita dei miei fratelli ("fratellastri" non mi piace) lui e la madre si erano trovati in difficoltà perché... non avevano idea che sarebbero nati due gemelli! Oggi una cosa del genere fa ridere.
Anche sul discorso dell'allattamento con il biberon, il libro mi ha fatto riflettere. Non perché mi abbia convinta ;-) Però è vero che prima di quella che è stata chiamata la rivoluzione sessuale la donna era considerata moglie e madre, il suo compito era quello di allevare figli ed essere l'angelo del focolare. Poi il Sessantotto, gli anni Settanta, gli slogan su "il corpo è mio e me lo gestisco io", la possibilità di pianificare le nascite con la diffusione dei contraccettivi. Mia madre non mi ha allattata al seno perché sapeva che dopo qualche mese dalla mia nascita avrebbe partecipato ad un concorso pubblico per diventare dirigente scolastica (all'epoca si diceva ancora "preside"): avrebbe quindi dovuto affrontare un viaggio a Roma, qualche giorno di permanenza in albergo, alcune ore chiusa in una stanza per la prova scritta e poi forse l'orale. Parlandone qualche giorno fa con mio padre, lui continua ad essere convinto della bontà di quella scelta dato che nella sua visione l'alternativa era tra l'allattamento al seno e la realizzazione professionale di mia madre. Trent'anni fa non era pensabile l'idea che il padre si prendesse un paio di giorni di ferie per fare insieme il viaggio, tenere il neonato durante l'esame, chiedere eventualmente che la mamma potesse uscire durante la prova scritta per allattare o ancora dare sì il latte con il biberon, ma quello materno, tirato nei giorni precedenti. Contemporaneamente però credo che sessanta anni fa - la generazione di mia nonna, per capirci - non fosse pensabile l'idea che un marito concedesse alla moglie la possibilità di realizzarsi professionalmente.
Dopo la lettura di questo libro ho realizzato che, a differenza di mia nonna, io scelgo di allattare al seno, anche grazie al gesto - all'epoca forse quasi rivoluzionario - di mia madre e di tutte le donne come lei che avevano scelto di non allattare.
Sono consapevole del fatto che sono ancora pochi i genitori che si ribellano all'attuale medicalizzazione del parto, al consumismo (ad es. i pannolini usa e getta) e alle idee che, a partire dagli anni '70 in poi, ci sono state inculcate da medici e opinione pubblica. Però, forse, senza queste idee, saremmo tutti meno consapevoli, meno protagonisti delle nostre scelte. Forse ne valeva la pena.
Molto interessanti queste riflessioni, bello che siano nate anche dal confronto con i tuoi genitori.
RispondiEliminanon sono mamma, però le tue riflessioni, oltre ad essere interessanti, mi sembrano molto sensate. secondo hai ragione ad affermare che tu decidi di allattare al seno perché, grazie ai sacrifici delle nostre madri che hanno lottato per l'indipendenza, ne hai facoltà, cioè perché lo vuoi: non sei costretta ad allattare dall'ignoranza e dalla condizione della donna e non sei costretta a non allattare per la condizione della donna. tu puoi scegliere e scegli alla luce delle maggiori conoscenze che ci sono oggi.
RispondiEliminapenso proprio che sì, ne valeva la pena..
Davvero davvero davvero bello questo post! Viene da chiedersi come ci vedranno le prossime generazioni...
RispondiEliminaPost intelligente e molto interessante. Le tue riflessioni sono giustissime e sempre dobbiamo ringraziare chi prima di noi ha lottato in cio che credeva dando l'esempio per una volontà di cambiamento. La cosa importante oggi e' la reale possibilita' di scelta e forse noi l'abbiamo conquistata. Ti abbraccio. Pat
RispondiEliminaNon avendo figli non mi sono mai posta il problema. Per la questione pannolini da un'occhiata al blog di Annalisa (Passato fra le mani, lo trovi nel mio blogroll) lei sta crescendo una bimba vegana e non ha usato i pannolini, tranne quelli lavabili ed in poche occasioni.
RispondiEliminaGrazie a tutte! A Nadir anche per il suggerimento del blog di Annalisa (l'ho aggiunto tra i blog che seguo)
RispondiEliminaCiao, davvero molto interessante questo post, ed il sito in generale, tornerò sicuramente a spulciare un po' meglio tra i post più vecchi.
RispondiEliminaMichela, quasi vegana, mamma di due bambini, vegetariani, e consapevole!
Bel post! Davvero una interessantissima riflessione socio antropologica sulla gravidanza ed il parto.
RispondiEliminaCredo che sia stato importante leggerlo, scoprire certe cose e meditare su altre.
Un abbraccio grande!