lunedì 20 gennaio 2014

Tre motivi a favore dell'allattamento prolungato

L'Organizzazione Mondiale della Sanità suggerisce di allattare al seno fino a quando mamma e bambino lo desiderano, anche oltre i due anni.


Secondo la mia esperienza, allattare un bambino di quasi due anni offre innegabili vantaggi.

Avere sempre un argomento originale di conversazione con conoscenti
Bambino: "Tetta!!!"
Conoscente: "Cos'ha detto? Forchetta?"
Bambino: "Teeeettaaaaa!"
Mamma: "Ehm, no, ha detto 'tetta'"
Conoscente: "In che senso, 'tetta'?"
... eh...

Ricevere un buongiorno personalizzato
Mamma: "Ciao amore! Buongiorno! Hai dormito bene? Fatto bei sogni?"
Bambino: "Tetta!"
Mamma: "Solitamente uno dovrebbe alzarsi e dire: 'Buongiorno mamma! Ben svegliata!' D'accordo che ancora parli poco, ma almeno un 'Ciao mamma' lo sai dire..."
Bambino: "Tetta!"
Mamma: "Lasciamo stare..."

Insegnare con le prime parole l'arte della contrattazione
Bambino: "Tetta!"
Mamma: "Ma dobbiamo uscire..."
Bambino: "Uno! Uno!!"
Mamma: "Un minuto? Sì, un minuto possiamo anche prendercelo..."
Bambino: "Daaaiii!"

A parte gli scherzi, i benefici dell'allattamento oltre l'anno ci sono davvero e li spiega bene la Leche League.

lunedì 13 gennaio 2014

Avevo un bambino tranquillo, oggi è un mostro. Considerazioni sui TT

Sono secoli che non scrivo. Intanto auguri a tutte/i per uno splendido 2014.

In questi giorni sto riflettendo spesso sui cosiddetti "terrible twos" quel periodo "terribile" che va dall'anno e mezzo fino ai tre anni circa, in cui i bambini dicono continuamente "no", si buttano a terra per non fare quello che diciamo loro, sono oppositivi in tutto etc etc. Chi ha o ha avuto figli in quell'età, sa di cosa sto parlando. Un preludio all'adolescenza. Anzi, c'è chi dice che l'adolescenza in realtà comincia a due anni.

Il giorno prima avevi davanti un angioletto che ti guardava adorante e ti tendeva la pargoletta mano per chiederti di aiutarlo a stare in piedi, il giorno dopo ti ritrovi una furia che ti urla in faccia "no!" anche se gli chiedi se vuole il gelato (salvo poi tendere nuovamente la pargoletta mano verso il gelato e urlare "mioooo!" finché non glielo consegni ugualmente ignorando il precedente rifiuto)

Da novembre, intorno ai 20 mesi di Valerio, ci siamo entrati in pieno anche noi. Pianti e urla perché non vuole uscire di casa. Pianti e urla perché non vuole rientrare a casa. Corsa ad ostacoli con scarpe in mano per cercare di infilarle ai piedi di un'anguilla che si dimena.

Sono passati due mesi e la fase critica mi sembra passata. Di già?
Sì. No. Forse.

Quello che è cambiato in famiglia è la mia (nostra, considerando anche il Babbo) percezione della situazione. Sono diventata molto più "zen". Il Babbo no, perché lo era già.

La pulce nell'orecchio me l'aveva messa Carlos Gonzales col libro "Besame Mucho". La mazzata finale me l'ha data Alfie Kohn con "Amarli senza se e senza ma". Due libri che reputo fondamentali. Gonzales è anche di facile lettura e credo pienamente condivisibile da chi segue l'alto contatto. Kohn è stato per me più ostico, perché è andato a scardinare tante delle mie convinzioni radicate negli anni.

Dopo questa lettura ho provato a cambiare prospettiva.

Valerio sta giocando coi Lego. Gli dico che dobbiamo uscire. Si mette ad urlare.
E' un capriccio. Lo sa benissimo che dobbiamo andare a fare la spesa, glie l'ho detto già a colazione e glie l'ho ripetuto 10 minuti fa.
E se qualcuno mi interrompesse ora, mentre sto scrivendo questo post? Penserei "Sì, lo so che dobbiamo uscire, tra l'altro per una cosa che interessa te e non me, ma ho avuto proprio ora l'ispirazione... lasciami finire e poi andiamo!"

Torniamo a casa dalla piscina. Al momento di entrare in casa, Valerio si butta a terra e poi corre verso il portone.
E' un capriccio. Ora dobbiamo entrare a casa e preparare il pranzo. Se aspettiamo troppo gli viene fame e farà un altro capriccio per mangiare subito quando il pranzo non è ancora pronto.
Provo ad immedesimarmi. "Mamma, è vero che in piscina mi sono divertito, ma eravamo al chiuso. Poi mi hai legato su quell'insopportabile seggiolino dell'auto e siamo tornati a casa. E' mezzogiorno e c'è un raggio di sole, perché dobbiamo chiuderci in casa? Facciamo prima un giretto? Quando mi viene fame, mi darai un pezzo di pane mentre prepari il pranzo: ti aiuto io a buttare la pasta."

Insomma, è una continua palestra di elasticità mentale.
Credo che nella fase dei "terribili due" semplicemente cambino le richieste del bambino e la cosa ci spiazza perché noi genitori non siamo pronti. Finché le richieste riguardavano i bisogni primari (mangiare, dormire, coccole) siamo sempre stati pronti a soddisfarle. Quando il bambino vuole invece rivendicare una propria autonomia decisionale, ecco i "si deve", "è così", "devi/dobbiamo fare".

Nella pratica, confesso che sia di una difficoltà estrema. Per me. Per il Babbo meno, perché lui è un santo. (Non è vero. Non è solo carattere. Semplicemente lui ha approfondito prima di me questi temi anche se li ha sempre applicati a ragazzi più grandi, nello scoutismo)

Ecco cosa faccio cerco di fare ora, a mente più aperta.
  • Dico le cose come stanno. "Non si batte il cucchiaino sul piatto" non è vero. E' invece vero che "a me da fastidio se batti il cucchiaino sul piatto, perché fa un rumore che mi fa venire mal di testa. Inoltre rischi di rompere il piatto, come questo che si è già un po' scheggiato."
  • Mi scuso se lo obbligo a seguire le mie priorità. "So che vorresti rimanere a giocare, mi dispiace farti uscire, ma purtroppo dobbiamo andare a fare la spesa ora perché in casa non c'è più nulla da mangiare e se tardiamo troppo poi torniamo tardi a casa."
  • Ho smesso di avere decisioni irrevocabili: posso tornare sui miei passi. Non ne va della mia credibilità, semmai insegno a mio figlio che si può dialogare e trovare un accordo che va bene per tutti.
  • Mi sono ficcata bene in testa che in casa non ci sono delle gerarchie. Io e il Babbo abbiamo più esperienza, è vero. Ma questo non vuol dire che possiamo "comandare" e che il bambino deve "obbedire". Possiamo consigliare, guidare, aiutare a fare e a capire molte cose, soprattutto che (parafrasando "La Fattoria degli Animali") non ci sono persone "più uguali degli altri".
  • Cerco di andare incontro alle sue richieste, trovando compromessi quando la situazione impone qualcosa che proprio non gli piace. Ad esempio se non vuole salire sul seggiolino dell'auto (e non vuole mai), cerco di assecondarlo. No, non sto dicendo che non lo lego. La sicurezza prima di tutto, su questo non si discute. Ma prima di partire si può fare una passeggiata distensiva e durante il viaggio si può cantare o mangiare l'uvetta che gli piace tanto.
  • Sono mooooolto più elastica nelle cose non pericolose per qualcuno. Esempio: c'è stato un periodo in cui Valerio faceva scene terribili per cambiarsi. Togli il pigiama e metti la tuta: "uahhh". Togli la tuta e metti il pigiama: "uahhh". Durante le vacanze, per tre giorni è stato con la stessa maglietta e pile. Compresa la cena della vigilia di natale coi parenti e il pranzo del giorno dopo, dico solo questo. Tre giorni. Schifo? Un po', sì. Pericoloso? Non direi. Glie l'abbiamo lasciato fare. Dopo tre giorni si è lasciato cambiare senza pianti e ora le scenate per la vestizione si sono di molto ridotte.
  • Infine non mi pongo limiti di tempo e se proprio c'è un appuntamento cerco di cominciare a prepararci con lauto anticipo... cosa difficilissima per una ritardataria cronica come me! Se abbiamo un appuntamento alle 15,30 (solitamente l'asilo), i preparativi cominciano un'ora prima. Se arriviamo prima all'appuntamento, c'è tutto il tempo di stare un po' sull'altalena.
Insomma, i TT mi stanno mettendo a dura prova. Non tanto per le crisi isteriche del bambino, che ultimamente si sono ridotte al minimo. Quanto perché ho dovuto rimettermi in discussione e cambiare totalmente il mio modo di pensare.

Avevo un bambino tranquillo. Poi è diventato un mostro. Poi mi sono accorta che non avevo messo le lenti a contatto. E ora vedo di nuovo il mio bambino, un po' cresciuto ma a modo suo sempre tranquillo.