venerdì 22 febbraio 2013

Uguaglianza, cous cous e l'Isola sotto il mare

Nel film d'animazione Gli Incredibili c'è una scena in cui la moglie telefona al marito dicendo che il trasloco è ufficialmente finito perché ha svuotato l'ultimo scatolone. "Ma abbiamo traslocato tre anni fa!" risponde lui. "Appunto", dice lei (sto citando a memoria, non ricordo le parole precise).

Casa nostra sembra la casa degli Incredibili pre-fine trasloco. Abbiamo traslocato quasi due anni fa, e ci sono ancora gli scatoloni. Per questo non mi sono stupita più di tanto quando qualche giorno fa ho trovato il libro "L'Isola sotto il mare" di Isabel Allende che cercavo da mesi perché avevo voglia di rileggerlo.

Dato che le cose non succedono mai per caso, proprio questo mese Bibi della Tavola Rotonda ha lanciato la discussione sul tema dell'uguaglianza.

Funziona così:
Ogni mese da gennaio a dicembre 2013 a partire da oggi, una volta al mese il post sarà dedicato ad una discussione aperta che ho chiamato "La Rubrica della Tavola Rotonda" ,  cioè un post in cui si parlerà di un argomento preciso (uno diverso per ogni mese dell'anno) : inizio io scrivendo sul mio post cosa penso su questo argomento e chiedendo a voi cosa ne pensate e le vostre eventuali esperienze in merito.


Cosa c'entra questo con il romanzo della Allende? Un attimo che ve lo spiego.

Il libro tratta l'argomento della schiavitù dei neri nelle colonie francesi e americane a fine Settecento. Non mi interessa parlare qui della trama, che è molto coinvolgente, né dei singoli personaggi (solo un cenno al fatto che la protagonista, una schiava, fa co-sleeping, allattamento prolungato e marsupio-terapia col nipote nato prematuro... tutte cose che noi abbiamo "riscoperto" recentemente).
Mi interessa piuttosto raccontare qui la mia lettura, tutta particolare, della storia, che va persino oltre le reali intenzioni dell'autrice.

Mi sono resa conto, leggendo il libro, che in molte pagine, sostituendo la parola "schiavo" con "animale" e "piantagione" con "allevamento", il discorso fila lo stesso.

Una prova? Ecco qui:
Su un tavolato erano esposti in vendita quattro schiavi adulti e un bambino nudo, di circa due o tre anni. Gli interessati esaminavano loro i denti per calcolare l'età, il bianco degli occhi per verificare la loro salute e l'ano per assicurarsi che non fosse tappato con stoppa, il trucco più frequente per nascondere la diarrea. Una signora anziana, con un ombrello di pizzo, stava soppesando con la mano guantata i genitali di uno degli uomini. 
[...]
L'unica donna del lotto stringeva il bambino contro il suo corpo e implorava una coppia di compratori di non separarli, suo figlio era sveglio e obbediente, diceva, mentre Pierre Laffitte la descriveva come una buona riproduttrice: aveva avuto diversi figli ed era ancora fertile.

Nel romanzo si propone anche la diatriba tra gli abolizionisti e chi invece pensa che gli schiavi si debbano trattare meglio ma debbano comunque essere schiavi (non ricorda l'annosa questione tra chi, animalista, vuole gabbie più grandi e confortevoli e chi vuole abolire il concetto di sfruttamento degli animali?)
"I neri hanno bisogno del pugno di ferro. E sia chiaro che che mi riferisco alla fermezza, non alla brutalità"
"Non esistono mezzi termini. Una volta accettato il concetto stesso di schiavitù, il trattamento non ha molta importanza" ribatté il medico.
"Non sono d'accordo. La schiavitù è un male necessario, l'unico sistema per dirigere una piantagione, che si può tuttavia praticare in modo umano."
"Non può essere umano possedere e sfruttare un'altra persona" replicò Parmentier.
"Non ha mai avuto uno schiavo, dottore?"
"No. E non lo avrò neanche in futuro."
"Mi congratulo. Lei ha la fortuna di non essere un piantatore" disse Valmorain. "Non mi piace la schiavitù, glielo assicuro, e ancor di meno mi piace vivere qui, ma qualcuno deve pur amministrare le colonie perché possa addolcire il suo caffè e fumare una sigaretta. In Francia fanno uso dei nostri prodotti, ma nessuno vuole sapere come si ottengono"

La violenza - fisica e psicologica - sugli schiavi è giustificata dal fatto che i neri hanno una soglia del dolore più alta dei bianchi.
[...] Tété scoppiò a piangere. Ne rimase sorpreso, perché non l'aveva più vista versare una lacrima da quando le aveva tolto il suo primo figlio. Aveva sentito dire che i neri soffrono meno e prova ne era che nessun bianco avrebbe retto quello che loro sopportavano e, così come si tolgono i cuccioli alle cagne o i vitelli alle vacche, si potevano separare le schiave dai loro figli; dopo poco tempo si riprendevano dalla perdita e in seguito nemmeno se ne ricordavano.

Insomma
"Non penserà che i neri siano come noi, vero?"
"Dal punto di vista biologico è evidente che lo sono."
"Si vede che lei ha molto poco a che fare con loro. I neri hanno la costituzione adatta per i lavori pesanti, sentono meno il dolore e la fatica, il loro cervello è limitato, non sanno discernere, sono violenti, disordinati, pigri, sono privi di ambizione e di sentimenti nobili."

Inoltre la schiavitù, così come lo sfruttamento degli animali, non può essere abolita perché
L'economia mondiale poggia su di essa

Come per gli animali, non tutti gli schiavi sono uguali. Come oggi la maggior parte degli europei si scandalizza di chi mangia i cani o ne fa pelliccia, magari proprio mentre sta mangiando un maiale e con indosso scarpe di pelle, così certi schiavi sono "cose" e altri quasi membri della famiglia.
Di solito non prestava attenzione agli schiavi - a eccezione di Loula, li considerava merce - ma quella creatura le suscitava simpatia.

E potrei andare avanti a lungo se non fosse per l'interruzione del "primo della classe"...
"Ma sì, ma sì, abbiano capito... Per fortuna ora la schiavitù non c'è più e i neri non vengono trattati come animali perché abbiamo capito che siamo tutti uguali." 

Ecco, il "primo della classe" stavolta non ha capito niente. Se mi lasciava finire di parlare magari si evitava questa figuraccia.
No, non era questo, quello che volevo dire. La Allende sì, voleva dire questo. Io mi spingo un po' più in là. E dico che non solo i neri e i bianchi sono uguali, ma umani, mucche, cani e galline sono uguali.

"Ma cosa stai dicendo? Non penserai che una mucca sia come noi! L'uomo è intellettualmente superiore"
Vero. Questo non lo nego. Una mucca non filosofeggia e non sa risolvere equazioni di secondo grado. Ma anche Nina, il mio cane, non è capace. Eppure Nina in Italia è tutelata da una legge che mi punisce se la maltratto, mentre una mucca, come tutte le mucche (tranne poche fortunate), viene messa incinta forzatamente, le viene allontanato il figlio, le viene munto il latte e quando non ce la fa più viene uccisa e diventa dado da brodo o scatoletta per gatti. La sua vita può essere un po' migliore o un po' peggiore se parliamo di un allevamento biologico piuttosto che intensivo, ma la sua sorte non cambia.

"Non hai risposto. D'accordo, un cane e una mucca sono pur sempre animali. Ma noi e la mucca non siamo uguali"
Cosa intendi per uguali? Come due gocce d'acqua? Come due gemelli? Allora no, non siamo uguali. Ma anche io e mio marito non siamo uguali: chi allatta nostro figlio? Chi dei due apre i barattoli chiusi ermeticamente? Anche io e un nero non siamo uguali, la mia pelle dopo mezz'ora al sole si ustiona. Però siamo ugualmente portatori di diritti.

"Sì, e diamo il diritto di voto ai polli..."
Non voglio fare battute scontate sul voto...
Non sto dicendo che dovremmo dare il diritto di voto agli animali, anche perché non saprebbero cosa farsene. Come, d'altra parte, un bambino non ha il diritto di votare. Sto parlando di diritti che ognuno ha fin dal momento della nascita, come il diritto alla vita.
Dal dizionario Treccani: Diritti Naturali - Diritti dei quali ogni individuo è titolare fin dalla nascita, che trovano la loro legittimazione non nel fatto di essere riconosciuti e accettati da un governo che li concede, ma nel fatto di essere costitutivi della natura stessa dell'uomo (per es. diritto alla vita, alla libertà personale).

"Stai dicendo che non dovremmo più mangiare carne e bere latte? Ma si è sempre fatto così, arrivi tu e vuoi stravolgere le consuetudini..."
Vero. Ma anche la schiavitù, prima che venisse abolita, esisteva da sempre. Come ben racconta il libro della Allende. E oggi? Non c'è più...

Barbara chiede di abbinare al post una ricetta attinente all'argomento. E qui viene il difficile. Un piatto da proporre ce l'avrei ed è la njera (o injera), una specie di piadina tipica eritrea. Due natali fa alcune donne eritree le avevano preparate e vendute ai GAS fiorentini e il ricavato era stato devoluto alle famiglie di Mor e Moudou, due senegalesi uccisi da un estremista di destra che aveva anche ferito altri tre immigrati. Quelli che oggi sono i nuovi schiavi.

Ho cercato la ricetta, ma è troppo complicata per me. Ripiego quindi sull'unica ricetta africana che conosco, anche se so che il Maghreb è molto lontano dall'immaginario comune sull'Africa Nera, da cui provenivano gli schiavi. Questo piatto però è diventato "mio" dopo essermi stato spiegato passo passo da un amico algerino.

COUS COUS DI VERDURE
Ingredienti (per 4 persone):
  • cous cous (va bene anche quello precotto, ma io consiglio quello in grani, molto più saporito. Solitamente uso quello del commercio equo e solidale, proveniente dalla Palestina)
  • verdure miste. Per la versione estiva:
    • 1 cipolla
    • 1 pomodoro
    • 1 melanzana
    • 2 zucchine
    • 1 peperone
    • 4 carote
  • Per la versione invernale:
    • 1 cipolla
    • 2 patate
    • 1 pezzo di zucca
    • 1/2 broccolo
    • ... quello che vi viene in mente!
    • 4 carote
  • olio, sale, curry

Procedimento:
In una pentola capiente (meglio se antiaderente) versare un filo d'olio. Tagliare la cipolla a fette spesse e versarle sull'olio già un po' caldo. Aggiungere una per volta le verdure tagliate a fette spesse (o cubetti). Per la ricetta a me tramandata, in quest'ordine: pomodoro (comprese bucce e semi), melanzana, zucchine, infine 2 carote. Aggiungere un bicchiere di acqua salata e lasciar cuocere per 40 minuti o più. I pezzi di carota daranno il tempo: devono essere molto morbidi. 5 minuti prima di spegnere il fuoco, aggiungere un cucchiaio di curry (facoltativo: se non vi piacciono le spezie si può evitare, ma... non sapete cosa vi perdete...)

Durante questo tempo, tagliare a metà e poi in quattro spicchi le 2 carote rimaste e cuocerle per una decina di minuti in acqua bollente (che può poi essere utilizzata per fare il cous cous, seguendo la ricetta riportata sulla scatola)

Quando il cous cous è pronto, dividerlo in 4 porzioni. Riempire una scodella con la prima porzione, pressarlo leggermente e rigirare la scodella nel centro di un piatto piano. Ripetere l'operazione per tutte le porzioni.
Guarnire il contorno del cous cous con le verdure. Sulla cupola di cous cous disporre a croce quattro spicchi di carote.

Il cous cous può essere mangiato anche freddo. Buon appetito.

8 commenti:

  1. Anche nella Fattoria degli Animali si può leggere il razzismo e applicarlo perfettamente alla specie umana: Gli animali sono tutti uguali....ma alcuni sono più uguali degli altri"


    E per il cous cous...qua in casa mia è la regola, mio padre è della Costa d'Avorio e il suo Paese ha vinto più volte il Festival del Mediterraneo con delle ricette di cous cous. Il modo migliore per cucinarlo è al vapore, con le pentole a castello mettendo sotto un brodo di verdure e sopra il colapasta con il cous cous e mantecarlo con l'olio, esce sgranato e molto saporito!!

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    1. Infatti all'inizio, leggendo il tema del mese, mi era proprio venuta in mente La Fattoria degli Animali. Poi però ho ritrovato il libro della Allende...

      Grazie per la condivisione sul cous cous. Una volta ad una cena marocchina ho visto la pentola "apposta" e me ne sono innamorata... Non pensavo che si potesse fare anche senza, con lo scolapasta! Che idea!

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  2. SPLENDIDO questo post...

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  3. Bel parallelismo, davvero azzeccato, purtroppo...

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  4. Da quando hai pubblicato il post continuano a frullarmi in testa le riflessioni schiavi-animali...
    Purtroppo anche se la schiavitù è stata formalmente abolita non riesco a trovare un nome diverso per definire le migliaia di asiatici, sudamericani o africani che cuciono i nostri vestiti e raccolgono la frutta esotica o il caffè.
    Spero che il nostro mettere in pratica stili di vita sostenibili possa cominciare a incidere su scala più grande.

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  5. leggo e rileggo e rileggo e mi commuove ciò che hai scritto e mi piace, e mi piace anche il cous cous (quello lo adoro proprio a dire il vero)...grazie, veramente ♥

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  6. Anche se devo dire la verità,prima il cous cous non mi piaceva per niente ,è stata una amica marocchina a farmi imparare come si cucina,.Questa ricetta mi sembra molto originale ma sopratutto un'ottima alternativa per noi vegetariani.Ottima ricetta.

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